Geologia delle Dolomiti (cenni)
Rielaborazione (semplificata e con molti tagli arbitrari) a scopo divulgativo di un vecchio testo davvero interessantissimo di A. Bosellini, C. Broglio e F. Russo (*). Procurare il testo originale per una lettura completa ed una conoscenza approfondita.
Lo scenario dolomitico è il risultato della particolare storia geologica di questa regione montuosa. Nelle Dolomiti si trovano infatti l’un l’altra associate due tipi di rocce, quella dolomitica e quella vulcanica, che normalmente non lo sono perché derivano da processi e da ambienti totalmente diversi. Siccome la roccia dolomitica è molto più resistente agli agenti della degradazione meteorica (sole, pioggia, gelo, ruscellamento delle acque) rispetto alle rocce vulcaniche, le quali si alterano e infrolliscono facilmente, risulta che i pallidi e torreggianti picchi dolomitici si trovano vicino o emergono dalle verdi valli e dai dolci pendii, dove invece stanno le scure rocce di origine vulcanica.
Il nome “dolomite” deriva dal suo scopritore, Deodàt de Dolomieu (1750-1801), e si riferisce ad una roccia composta da carbonato doppio di calcio e magnesio.
La dolomia e quasi tutte le rocce che affiorano nella zona dolomitica si sono formate in fondo al mare durante quello che viene chiamato “processo litogenetico” (o della formazione delle rocce). Ben diverso è il “processo orogenetico”, in cui si ha la formazione delle montagne e che, nel caso delle Dolomiti, è separato da quello litogenetico da ben 100-150 milioni di anni.
Processo litogenetico
La successione delle rocce stratificate che affiora nelle Dolomiti si è formata a partire dal Permiano, circa 270-280 milioni di anni fa, in un periodo nel quale la nostra regione appariva come un’ ampia pianura alluvionale dal clima arido e caldo, dove i fiumi accumulavano detriti di vario genere, trasformatisi in seguito in solida roccia, nota come Arenaria di Val Gardena. Questa, ad ovest della Val Badia e della Valle del Cordevole, poggia su di un potente basamento di porfidi, risultato di colate vulcaniche e nubi ardenti, mentre ad est del suddetto allineamento, essa giace direttamente su antichissime rocce metamorfiche, dette filladi quarzifere.
Circa 255-260 milioni di anni fa, il mare invade la regione determinando inizialmente il formarsi di depositi salini, bianchi e farinosi, e poi di sedimenti scuri detti Formazione di Bellerophon.
Circa 235 milioni di anni fa, nell’ Anisico,alcune zone si sollevano ed emergono dal mare, formando isole. Alla fine dell’ Anisico, però, tutta la zona subisce un lento processo di sprofondamento (la “subsidenza”), che ovviamente fa sprofondare anche quelle isolette, sulle quali attecchiscono comunità organogene, dal momento che il clima, ora, è di tipo tropicale, con acque calde, limpide e ben aerate. Si tratta di primitive scogliere coralline che cercano di tenere il passo della subsidenza per rimanere costantemente a pochi metri di profondità e che oggi costituiscono alcune delle più famose montagne dolomitiche quali lo Sciliar, il Latemàr, la Marmolada, il Catinaccio, le Pale di S. Martino, le Odle, il Putia e la parte inferiore della Civetta. La roccia di cui sono formate è detta Calcare della Marmolada o Dolomia dello Sciliar a seconda della composizione chimico-mineralogica (nei profondi bacini adiacenti, contemporaneamente, si accumulano sedimenti detti Formazione di Livinallongo).
Alla fine del Ladinico, 230 milioni di anni fa, si formano due grossi vulcani che emergono dall’ acqua (uno vicino Predazzo e uno nei pressi della Val di S. Nicolò) e dai quali fuoriesce un’ enorme quantità di lava e tufi che si riversa lungo i pendii delle scogliere riempiendo così i bacini marini. Interi gruppi sono formati da queste rocce vulcaniche: la catena del Padòn, il M. Pore e il Piz del Corvo, il Col di Lana, La Cima di Pape, il sottogruppo Colac-Buffaure.
Subito dopo si verifica un brusco abbassamento del livello del mare che determina l’ emersione delle scogliere, dei banchi carbonatici e degli edifici vulcanici. Ovviamente le nuove condizioni subaeree portano alla fine del delicato ecosistema “di scogliera” e i vari edifici vulcanici vengono spianati dall’ erosione e i detriti finiscono di riempire i bacini. In zone più lontane dai vulcani, comunque, persistono ampie aree bacinali.
Adesso sono fenomeni tettonici a sconvolgere la regione: si formano faglie che portano alla deformazione, al piegamento e all’ accavallamento delle rocce precedentemente deposte. Probabilmente furono assai comuni terremoti, maremoti e grandi frane sottomarine.
Una volta terminata questa turbolenta fase, la zona dolomitica torna ad essere un tranquillo mare tropicale nel quale prosperano coralli, alghe e spugne. Il risultato è che inizia a formarsi una nuova generazione di scogliere e piattaforme carbonatiche, questa volta di età carnica (la così detta Dolomia Cassiana), molto meno sviluppata in altezza e più in larghezza (il fondo infatti è più regolare e c’è meno subsidenza). Da queste rocce sono formate, per esempio, il Settsass, il Picco di Vallandro e la parte inferiore del Sella. Nei bacini adiacenti, invece, si vanno accumulando i fini prodotti delle erosioni delle rocce vulcaniche mescolati a particelle calcaree di varia natura: è questa la Formazione di S. Cassiano, notevolissima per via della straordinaria quantità di fossili in essa contenuti.
224 milioni di anni fa, alla fine del Carnico, un nuovo forte abbassamento del mare determina la fine dello sviluppo delle scogliere e un ulteriore riempimento dei bacini: la regione torna ad essere un’ area piatta, in parte marina, in parte costiera. Su questa superficie si deposita la Formazione di Raibl, di spessore modesto e dal vivace colore rosso-verde. E’ costituita di questi sedimenti la cengia che taglia tutto il Sella a metà altezza, come pure la base della Tofana di Rozes e delle 5 Torri.
Con il Norico, 223 milioni di anni fa, in un mare sottile e caldo, in continua subsidenza, si deposita, metro dopo metro, una potente successione di dolomie stratificate, la Dolomia Principale (il suo spessore è di ben 1000 metri) che oggi costituisce alcune delle cime più famose delle Dolomiti cadorine e bellunesi: le Tre Cime di Lavaredo, il Cristallo, il Pomagagnon, la Croda da Lago, le 5 Torri, la Civetta e molte altre ancora.
Giungiamo così alla fine del Trias e all’inizio del Giurassico: tutta l’ Italia è coperta dal mare ed il clima diviene umido, di tipo marino. Non ci sono più dolomie o depositi salini, ma calcari grigi, ben stratificati, di cui sono costituite la parte sommitale del Pelmo, della Civetta, dell’ Antelao ecc.
Tra 170 e 135 milioni di anni fa, la regione sprofonda ulteriormente e si hanno i depositi di Ammonitico Rosso (un calcare caratterizzato dalla presenza delle ammoniti), mentre con il Cretaceo, l’ ultimo periodo dell’ era Mesozoica, si depositano le rocce più giovani della nostra regione (le Marne del Puez, materiali teneri e di colore grigio-verde) e terminano così le ultime pagine del libro che ci racconta la storia geologica delle Dolomiti.
Processo orogenetico
All’inizio del Cretaceo, 120-130 milioni di anni fa, quando si depositarono gli ultimi e più giovani sedimenti attualmente presenti nella regione dolomitica, tutta la pila di rocce, che abbiamo descritto nella sezione riguardante il processo litogenetico, e che ora vediamo svettare nel cielo, si trovava sepolta in fondo al mare Tetide.
Verso la fine del Cretaceo, cioè 70-80 milioni di anni fa, il continente africano cominciò ad avvicinarsi a quello europeo, determinando uno schiacciamento dei materiali interposti ed il loro conseguente innalzamento (orogenesi: nascita di una catena montuosa).
Le Dolomiti iniziarono ad essere interessate da queste dinamiche circa 40 milioni di anni fa ma è soprattutto negli ultimi 25 che si sono avuti gli effetti più forti, con un sollevamento tale da far emergere il tutto dal mare.
Il maggiore e definitivo sollevamento si è avuto negli ultimi 4-5 milioni di anni. I corsi d’ acqua hanno scavato ed inciso sempre più, finché sono comparsi a giorno i terreni triassici e permiani: le dure e resistenti dolomie sono rimaste sempre più isolate, mentre le tenere rocce vulcaniche con i loro derivati sedimentari venivano spianate con facilità dando luogo a valli, passi, altopiani.
Circa 2 milioni di anni fa, infine, le Dolomiti vengono ricoperte dai ghiacci, i quali daranno, così, il loro fondamentale contributo alla geomorfologia della Zona.
(*) Questa rielaborazione di un testo di A. Bosellini, C. Broglio e F. Russo ha uno scopo puramente divulgativo [se ne consiglia la ricerca in biblioteca per una lettura approfondita] – riferimenti bibliografici esatti non disponibili: il libro che conteneva il testo completo è esaurito da anni. A breve maggiori info.
Déodat de Dolomieu
Déodat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolomieu (Dolomieu, 23 giugno 1750 – Châteauneuf, 26 novembre 1801) è il geologo francese da cui hanno preso il nome le Dolomiti.
Dolomieu è un villaggio dell’Isère, nella regione di Grénoble. Qui nacque Déodat, nel castello dei Gratet de Dolomieu, figlio di marchese.
Suo padre verso i 3 anni lo iscrisse all’Ordine di Malta, destinandolo quindi alla carriera militare. Questo avrebbe segnato tutta la sua vita, giacché gli avrebbe permesso di viaggiare e di soddisfare la sua passione scientifica. Ricevette un’educazione classica dopo la quale si rivolse alla chimica e alle scienze naturali, consacrandosi presto alle geologia. A 25 anni, dopo aver studiato a Metz dove era di guarnigione, cominciò a lavorare sulla pesantezza nelle miniere della Bretagna. Viaggiò poi in Portogallo, a Malta, in Italia (dove studiò l’Etna e gli effetti del terremoto calabro-siculo del 1783) e in Egitto.
Il suo studio sugli effetti del terremoto, che fu pubblicato simultaneamente in francese, italiano, tedesco e inglese, sottolineava la maggiore distruttività del sisma su edifici costruiti su terreni alluvionali; un fenomeno di grande importanza riscoperto ripetutamente da geologi e ingegneri.
Dolomieu descrisse molti minerali nuovi o mal conosciuti come l’analcime (volgarmente detto “occhio di gatto”), lo psilomelano, il berillio, lo smeraldo, la celestite e l’antracite. Ma la notorietà gli venne dalla scoperta della dolomia. Nel 1791 pubblicò nel «Journal de physique» un articolo intitolato “Su un genere di pietre calcaree molto poco effervescente con gli acidi e fosforescente per collisione”. Aveva scoperto questa roccia nelle Alpi e ne aveva mandato alcuni campioni a Théodore-Nicolas De Saussure, a Ginevra, per analizzarli. Fu questo scienziato che nel marzo 1792 attribuì il nome di dolomia alla pietra, in omaggio al suo scopritore, in una lettera inviata allo stesso Dolomieu.
La regione delle Alpi sarà chiamata “Dolomiti” solo molto più tardi: nel 1864 Josiah Gilbert e George Churchill, un pittore e un naturalista, pubblicarono a Londra il resoconto dei loro viaggi col titolo “The Dolomite mountains”. Durante il viaggio di ritorno dalla spedizione in Egitto di Napoleone, Dolomieu naufragò in Calabria e rimase imprigionato a Messina per 21 mesi, per oscuri conflitti con l’Ordine di Malta. Ritrovò la libertà solo il 14 giugno 1800, dopo la vittoria dell’esercito francese a Marengo. Molto provato dalla prigionia, morì il 16 novembre 1801, a 51 anni.
(fonte fondamentale: vedi wikipedia 2010)