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Vette e Torri dei Monti del Sole: scalate

La Rivista del Club Alpino Italiano – autunno 2007 “Vette e Torri dei Monti del Sole”, articolo di Luca Bridda

Testo di Luca Bridda
Foto di Luca Bridda e Fausto Durante
Immagini scelte e copertina di Paolo Colombera

Fausto ed io abbiamo da poco appoggiato gli zaini presso l’auto parcheggiata al Bar Soffia, sulla riva del lago del Mis. Finalmente li guardiamo “torreggiare”, enormi, non più sulle nostre spalle ma a terra. Non pesano come alla partenza ma sono comunque davvero imponenti, questi nostri compagni di viaggio, carichi di quanto necessario a rimanere in montagna tre giorni e a fare una via alpinistica.
Ieri abbiamo salito il bellissimo itinerario aperto nel ’35 da Ettore Castiglioni e Vitale Bramani sulla Torre del Mont Alt ma soprattuto abbiamo ritagliato, per noi soltanto, un altro scampolo di vita “selvatica”, a stretto contatto con la natura.
Ora non ci resta che rispettare una nostra tradizione: fermarci a bere una birra fredda per festeggiare.

Ci sediamo all’esterno del Bar, appoggiati al muro, con il sole che ci investe in pieno, in un’atmosfera irrealmente calda per la stagione autunnale. Facciamo il brindisi e mangiamo un panino col formaggio. E’ in questi momenti che assaporo fino in fondo la soddisfazione per la riuscita di una salita. Non conta il grado, la difficoltà tecnica affrontata; conta solo quanto si è sognata e desiderata la vetta, e soprattutto il “dove”, cioè tra queste montagne che amiamo di gran lunga più di tutte quante le altre!

Com’è noto, i Monti del Sole-Ferùch, nonostante si trovino a ridosso dell’urbanizzata Val Belluna e facciano parte delle celebrate ed affollate Dolomiti, rappresentano una vera e propria enclave di wilderness totale. Sono monti solitari e selvaggi, abbandonati dall’uomo e restituiti ad una natura che ben volentieri se li è ripresi. Non è un caso che questo gruppo sia spesso definito “il cuore selvaggio del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi”.
L’ambiente è oltremodo impervio e le valli sono profondamente incise in forre, tagliate da salti rocciosi e coperte di fitta vegetazione. I sentieri, lungo i quali non s’incontra anima viva, sono quasi sempre labili tracce che segnano i prati, che s’inerpicano per le rocce, alti sopra i precipizi. Frequenti sono le traversate su cenge erbose o rocciose, ed i passi con difficoltà tecnica non mancano mai neppure sui pochi sentieri segnati dal CAI. Un pino mugo tagliato è il segno da seguire per trovare la strada, l’escremento del camoscio è la prova che di là si potrà certamente passare con difficoltà contenute.
Normalmente si trascorre la notte in grotte e spelonche, o sotto le pareti spioventi dei grandi massi presso le forcelle. Infatti, i punti d’appoggio in quota mancano, fatta eccezione per il bivacco “Valdo” che è posizionato al limitare del Circo della Borala, forse il luogo in assoluto più spettacolare del gruppo.
Poi ci sono le zecche a guardia dei pendii d’accesso, non dimentichiamolo. Questi pericolosi acari hanno trovato tra queste valli un luogo d’elezione, infestano i prati ed il sottobosco, e di rado lasciano passare qualcuno indenne anche nei mesi autunnali. Considerando che, in una certa percentuale, sono portatrici del Morbo di Lyme e della TBE, è facile capire perché quasi tutti si tengano lontano da qui.

Negli ultimi anni l’attenzione per queste montagne si è riaccesa perché il territorio montano si va sempre più trasformando in una giostra per turisti, e chi ha bisogno di luoghi integri e deserti si rivolge verso gli ultimi fazzoletti di terra ancora liberi da infrastrutture e segnavia troppo evidenti: qui c’è uno di quei fazzoletti di terra, qui è possibile, ancora oggi, “assaggiare” l’avventura, a pochi passi da casa.

Negli ultimi quindici anni sono state date alle stampe pubblicazioni fondamentali, che hanno affiancato, dopo tanta attesa, le informazioni parziali e datate della vecchia guida di Castiglioni sulle Pale di San Martino del ’35. Prima Veniero Dal Mas (con la sua guida escursionistico-alpinistica) poi Pietro Sommavilla e Franco Miotto (con la loro opera di riscoperta di tutti i sentieri e le cenge da camosci) hanno ridato in mano agli appassionati nuovi strumenti per frequentare queste montagne. I due libri di Mario Minute ed Elvio Damin, inoltre, hanno regalato a tutti noi immagini fotografiche stupende, poetiche ed illuminanti insieme, che hanno stimolato ulteriormente (insieme alle puntuali descrizioni di alcuni itinerari di salita) la voglia di avventurarsi da queste parti. Altre informazioni si possono reperire su libri che hanno trattato la zona del Parco Nazionale nel suo complesso e soprattutto in alcuni articoli pubblicati in riviste a diffusione locale, “Le Alpi Venete” e “Le Dolomiti Bellunesi”, edite dalle Sezioni CAI.
Di recente, infine, – incredibile a dirsi! – questo gruppo negletto ha fatto bella mostra di sé sulla copertina di ALP, la più nota ed importante testata non istituzionale che si occupa di alpinismo in Italia. La sorpresa nel vederla è stata tanta.

Frequento i Monti del Sole da alcuni anni, con il mio amico e compagno di cordata Fausto Durante. Quasi per prassi, ogni inverno immaginiamo un progetto alpinistico alla nostra portata e l’autunno successivo, allorché le zecche divengono meno aggressive, cerchiamo di realizzarlo, sempre rimanendo a zonzo per tre giorni. Questa è per noi la dimensione temporale ideale qui: un giorno lo dedichiamo all’avvicinamento ed al trasporto del materiale, uno è dedicato alla scalata, uno al ritorno a casa. L’infestazione da zecche, come pure la consapevolezza che una troppa frequentazione, alla lunga, cancella il senso di mistero, ci consiglia di limitare le nostre visite.
Fausto guida fino alla base delle rocce mentre io mi occupo di tirare da primo sui tratti più impegnativi dell’arrampicata. Siamo insomma complementari, ben affiatati e, soprattutto, ci accomuna la passione esclusiva per questo gruppo.

In questo articolo ho pensato di condensare un po’ quanto fatto negli ultimi anni, proponendo tre scalate sulle cime a mio avviso più belle dei Monti del Sole: la Cima del Bus del Diàol, la Torre dei Ferùch e la Torre del Mont Alt. Gli itinerari hanno un sapore antico, le difficoltà tecniche non sono eccessive (massimo IV+) e possono essere presi a pretesto per vivere qualche avventura in questa natura incontaminata.

La Torre dei Ferùch è una cima di straordinaria eleganza, tanto che nel 1992 si è giustamente guadagnata la copertina dell’unica monografia alpinistica del gruppo. La sua bellezza svetta perfetta, in mezzo alle altre bianche crode dei Ferùch, che invano cercano di coprirla e circondarla. Ammirarla dal dirimpettaio Monte Gena è una rivelazione come pure vederla emergere dagli ombrosi canaloni che segnano il Circo della Borala. Scalata per la prima volta da Castiglioni e Detassis, conta solo 3 itinerari di salita. Molto di arduo resta, quindi, ancora da tracciare. La via qui descritta è logica e facile da seguire, anche se in alcuni tratti la roccia è assai friabile.
Se la Torre è elegante, la Cima del Bus del Diàol è imponente, severa ed ammantata di leggenda: domina il gruppo come una regina. Il suo nome lugubre e l’enorme foro al centro dell’appuntita parete nord-ovest le conferiscono un aspetto per certi versi sinistro ma di grande fascino. Le valli che portano alla sua base sono lunghe e accidentate: la Val delle Coraie, la Val Covolera e la Val Ferùch. Fu conquistata per la prima volta più di 100 anni fa da Oscar Schuster, grazie all’ardimento e alla tecnica di Eugenio Conedera e al supporto della guida G. Zecchini. I tre riuscirono a superare un breve tratto di IV+ in diedro camino e arrivarono sulla vetta con lunghi andirivieni, per cenge e creste di mughi.
La Torre del Mont Alt, infine, colpisce per la compattezza della roccia bianca, per le linee diritte che disegnano una cuspide solida e ben tornita. Verso est la torre precipita nel Van del Fornèl con un formidabile appicco, mentre verso sud e ovest le pareti sono più corte ma altrettanto verticali e poco articolate. Verso nord, invece, essa si salda alla sua montagna madre, il Mont Alt, con una ben incisa ed aerea forcella.

Per ciascuna salita ho descritto l’itinerario in modo piuttosto dettagliato (anche se so che alcuni, con buone ragioni, non lo apprezzano) ed ho indicato un comodo posto di bivacco ove passare una o due notti. Rimando invece alla guida di Sommavilla e Miotto per quanto attiene la descrizione dei complicati sentieri di accesso. I tempi per gli avvicinamenti, ovviamente, dipendono molto dal peso degli zaini. I nostri sono sempre stati assai carichi di attrezzatura e di ogni ben di Dio, dal Pan de Belùn (immancabile dolce casereccio) alla moka per il caffè.
Ad ognuno il suo stile.

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1. Cima del Bus del Diàol (2148 m) – Via O. Schuster – E. Conedera – G. Zecchini, 1902
(con approccio dalla Forcella della Caccia Grande e conseguente variante iniziale)
200 m di dislivello; difficoltà I, II, III, 1 tratto di IV+

Tracciato della via comune (Schuster-Conedera-Zecchini) con variante scorciatoia alla Cima del Bus del Diaol, Monti del Sole
Tracciato della via comune (Schuster-Conedera-Zecchini) con variante scorciatoia alla Cima del Bus del Diaol, Monti del Sole

Attacco: dalla Forcella di Caccia Grande (raggiungibile da Gena Alta in 5 ore di lungo e complesso cammino con passi di I e II) si segue verso nord il sentiero dell’Alta Via dei Monti del Sole che conduce verso la Forcella dei Pom. Lo si abbandona in prossimità del largo canale che discende subito a sud della Cima del Bus del Diàol (la cui parete meridionale è chiaramente contraddistinta da un largo cengione con due enormi grotte e da una cengetta più in alto – che chiameremo “cengia superiore”- appena accennata e macchiata di mughi). Si risale il canale abbastanza agevolmente (I) fino al limite occidentale della parete Sud della nostra cima, ove si attacca (25 minuti).
Relazione: salire verticalmente per una trentina di metri la facile ed articolata paretina soprastante, fino circa all’altezza del cengione con le due grotte, e subito sotto un evidente camino-diedro (35 m; II; questa è la variante “scorciatoia”; Schuster e C. arrivarono qui dal cengione). Salire ancora verticalmente per il camino-diedro di 15 m, superato il quale bisogna obliquare a sinistra su facili rocce per altri 10 m puntando ad un bel mugo ove si sosta (30 m; IV+, II). Raggiungere una macchia di mughi più in alto a sinistra arrampicando facilmente (10 m di I+, una clessidra a metà). Salire obliquamente a sinistra portandosi in parete ovest e poi riportarsi diagonalmente verso destra fino ad un evidente macchia di mughi proprio sulla verticale della sosta e all’inizio di una cengetta (30 m; II+). Dalla sosta si va verso destra lungo l’aerea cengia, inizialmente discendendo per 1-2 metri e poi proseguendo orizzontalmente con forte esposizione, doppiando l’arrotondato spigolo sud-est, e procedendo sempre verso destra sotto un difficile diedro e una successiva, poco invitante, parete rocciosa, fino ad una macchia di fitti mughi (60 m; II+,I). Proseguire ancora in orizzontale verso destra per una cengia intasatissima di mughi e leggermente ascendente, finché non pare liberarsi un facile passaggio per salire al soprastante pendio mugoso (50 m; II). Salire verticalmente raggiungendo il pendio soprastante e poi la cresta sud del monte (II+, I). Percorrerla in direzione nord (un non facile ed esposto passo di II+ in versante est per evitare un primo salto). Giunti sotto un salto roccioso, aggirarlo a sinistra per un esposto canale con macigni incastrati (II+). Portarsi in versante ovest per brevissima cengetta aggirando un risalto e giungendo sotto una friabilissima ed esposta fessura che va risalita direttamente (ottimo chiodo di calata all’uscita, pochi metri di III). Continuare banalmente fino in cima.
Discesa: percorrere il pendio fin sopra la fessura friabile. Calarsi per 15 m da un chiodo. Percorrere l’itinerario d’andata fino alla sosta su mugo utilizzata 10 m dopo avere doppiato, durante la salita, l’arrotondato spigolo sud-est. Scendere verso est fino sopra un salto roccioso (il diedro chiave della cd “via normale”) e calarsi con una doppia di 30 m. Proseguire sul cengione delle due caverne verso destra e proseguire come sopra.
Materiale consigliato: due mezze corde da 50 m; cordini, nut, friends e chiodi
Per bivaccare: nei pressi della Forcella di Caccia Grande c’è, in versante Val Coraie, un’ottima grotta attrezzata per il bivacco.

2. Torre dei Ferùch (2119 m) – Via G. De Bortoli – E. Conz – C. Levis, 1970
Dislivello 90 m; difficoltà I, II, III, IV

La Torre dei Feruch (foto Paolo Colombera)
La Torre dei Feruch (foto Paolo Colombera)

Attacco: dal placido Van Grant, vasto circo glaciale raggiungibile per sentiero CAI in 4-5 ore di cammino (alcuni passi esposti di cui uno su cengia rocciosa facilitato da un cavo metallico), ci si approssima all’imbocco dell’evidente canalone che scende immediatamente a destra del massiccio avancorpo della Cima della Borala. Il primo tratto del canale tra Cima della Borala e Torre è molto difficile e va perciò affrontato sulla destra per una placca inclinata di II e III (30 m; all’uscita, 3 m a sinistra, vi sono 2 chiodi per la calata in doppia). Si prosegue ora nel fondo del canale e lo si segue per breve tratto in quanto, ben presto, proseguire appare difficoltoso. Ci si sposta allora sulla destra del canale stesso, procedendo lungamente a mezza costa tra erba, mughi e roccette. Ad un certo punto il canale si biforca: seguire sempre il ramo principale (quello di sinistra), rientrando poco dopo sul fondo e seguendolo fino al suo termine, cioè sino alla Forcella della Torre (passaggi di I e II). Questa stretta ed incisa fenditura è posta tra la Cima della Borala e la nostra meta, e si affaccia su di un vertiginoso e tetro imbuto che precipita sul Circo della Borala.
Relazione
1. Dalla Forcella ci si inerpica a destra per rocce, erba e mughi (II) fino ad una selletta, ove un grosso pino mugo può fungere da solida sosta (30 m; I+, esposto)
2. Traversare per una quindicina di metri verso sinistra (scendendo inizialmente per un metro e mezzo), su cengetta eccezionalmente esposta (II), e proseguire poi su dritti a destra per altri 20 m (III+, IV; alcuni blocchi instabili), sino ad una piccola macchia di mughi poco sotto la cresta. (35 m; II, III, IV)
3. Si supera un brevissimo saltino, 2 metri a destra del mugo (IV), portandosi in cresta e si procede facilmente per essa fino ad una fitta macchia di pini (20 m; 1 p. di IV)
4. Si prosegue superando un non facile salto di roccia marcia (III+/IV, attenzione) rimanendo a sinistra del filo della cresta e si arrampica poi più facilmente per mughi ed erba (50 m; III+/IV, I). Da qui ci si slega e si percorre brevemente il pendio finale sino in vetta. Sulla cima, ampia e panoramica, solo un ometto di pietre. La Cima Larga, a destra, appare bassa e dimessa mentre a sinistra lo sguardo spazia verso l’estrema complessità della Borala.
Discesa: occorre ritornare sui propri passi per lo più in arrampicata, approntando due o tre doppie. La prima calata va necessariamente predisposta su mugo, per superare il marcio salto incontrato sul finire della salita (cordino e moschettone in loco, un po’ da cercare tra i rami). Il tratto di IV ed il traverso vanno affrontati in arrampicata mentre dal solido mugo ove si è attrezzata la prima sosta, consiglio di fare una lunga doppia di 40 sino alla forcella. L’ultima calata di 25 m, invece, deposita sul Van Grant giusto all’imbocco del canale di salita ed è agevolata da 2 chiodi piantati all’uscita dell’iniziale paretina di III.
Materiale consigliato: due mezze corde da 50 m; cordini, nut e friends
Per bivaccare: è possibile dormire abbastanza comodamente in una grotta che si trova nei pressi dell’attacco del canalone. Da questo si scende per prato e ghiaie per poco meno di un centinaio di metri, rasentando la parete rocciosa. Quando essa volge a sinistra, si traversa ed in breve si è all’evidente imboccatura dell’anfratto. La zona di sinistra è inospitale per via di un fastidioso stillicidio ma, al centro e a destra, una certa spartana comodità è assicurata. Vi è un focolare e del prato verde sufficientemente morbido.

3. Torre del Mont Alt (2043m) – Via E. Castiglioni – V. Bramani, 1935
280 m di dislivello; III, IV, 1 p. IV+

Torre dei Feruch via di salita
Torre dei Feruch via di salita

Attacco: dal Forzelon de le Mughe (raggiungibile in 4-5 ore dal Bar “La Soffia” per la Val Soffia, Piscalor e la Val del Bosch de la Lasta) si segue verso N la traccia dell’Alta Via dei Monti del Sole, sino al fondo del vallone tra il Monte Fornel e la Torre. Lo si risale fino al suo termine e, spostandosi un poco a sinistra dell’impluvio, si attacca ove la prima fascia rocciosa appare chiaramente più debole (20 m a sinistra si trova una piccola grotta per bivacchi di fortuna).
Relazione: si sale la parete per due metri andando ad afferrare un primo grosso mugo dal quale ci si sposta verso sinistra risalendo una rampetta erbosa. Da qui si traversa a destra verso un buon mugo di sosta (40 m, II+). Si percorre orizzontalmente verso destra tutto il cengione, fino sotto un evidente e largo canalone che scende dall’intaglio tra la Torre ed un ardito torrione a S di questa (50 m; II; sosta su mugo). Si risale facilmente il canalone per 25 m fino ad una stretta fessura che si supera direttamente, per poi spostarsi leggermente a destra e infine obliquamente a sinistra verso un grosso mugo con cordino di calata (50 m; III+). Si sale ancora il canalone direttamente (grosso masso incastrato) fino sotto un camino all’apparenza ostica (25 m di II+; sosta su clessidra e masso incastrato). Si sale il camino (possibile scalare la faccia di sinistra su piccoli ma saldi appigli) uscendo a destra e proseguendo più facilmente sino ad una sosta con due chiodi, posta 3 m sotto l’intaglio (25 m; IV+, III). Ci si dirige ora verso un evidente pilastro staccato che si rimonta sino in cima, grazie alla fessuretta che lo separa dalla Torre. Da qui, obliquando verso destra, si raggiunge una fittissima macchia di mughi, facendo comodamente sosta appena sopra di essa, su un terrazzino reso soffice dagli aghi di mugo (50 m; III; sosta su grosso mugo con cordino di calata). Si risale la placchetta soprastante e lo spigolo, sino ad un larice da cui, obliquando a destra, si va a sostare su un altro terrazzino mugoso (20 m; II+; sosta su mugo con cordino di calata). Prendere la fessurina erbosa soprastante proseguendo per parete detritica, fin sullo spigolo in grandiosa posizione panoramica (15 m di II+; sosta su chiodo e Nut). Da qui, a destra vediamo una evidente fessura di 10 m mentre a sinistra ci appare l’orrido canale camino che precipita sul fondo della parete sud. Si risale la verticale fessura e si prosegue per altri 10 m sino ad un mugo con cordino di calata (30 m II, IV, III). Si traversa a sinistra e ci si porta nel largo canale (clessidra) che scende dalla vetta e lo si risale per 25 m (25 m; II,III). Si prosegue con cautela fino sotto la vetta, ove si vede un chiodo usato per la prima calata. Lo si supera e si sosta sul pianoro sommitale, presso un mugo (30 m; III, II). Camminando si prosegue per la vetta vera e propria.
Materiale consigliato: 2 mezze corde da 50 m, qualche chiodo, nuts e friends
Per bivaccare: un ottimo posto di bivacco lo troviamo sul lato ovest di un enorme ed evidente masso, posizionato circa 100 m sotto il Forzelon de le Mughe.

Bibliografia

F. Miotto – P. Sommavilla “Sentieri e viàz dei Monti del Sole”, 1996, Ed. Fondazione A. Berti e Fondazione G. Angelini
V. Dal Mas “Monti del Sole, sentieri viàz e arrampicate”, 1991, Castaldi Ed.
E. Castiglioni “Pale di San Martino – Ferùch – Alpi Feltrine”, 1935, Ed. CAI-TCI
P. Sommavilla “Oscar Schuster e i Monti del Sole”, in “Le Dolomiti Bellunesi” nr. 2 Natale 1998
M. Minute – E. Damin “Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi: le cime più belle”, 1998, Zanetti Ed.
M. Minute – E. Damin “I sentieri del Silenzio”, 2004, Agorà Libreria Editrice
C. Cima “Dolomiti Meridionali”, 1993
L. Bridda “Cima del Bus del Diàol, prima ripetizione della via Schuster-Conedera-Zecchini, 101 anni dopo la prima ascensione” in “Le Alpi Venete”, I semestre 2004
ALP Grandi Montagne ottobre 2006 “Le Dolomiti Bellunesi”
Sito internet dell’autore: www.abcdolomiti.com

Luca Bridda

Fondatore di www.abcDOLOMITI.com, laureato in economia con master, lavora da 20 anni nel settore human resources e nel settore web marketing/vendite. Ha pubblicato articoli per le più note riviste dedicate alla montagna e all’alpinismo, è appassionato da trent'anni di alpinismo e arrampicata sportiva. Ha pubblicato una guida escursionistica, una guida di arrampicata sportiva, un libro di racconti dedicati alla montagna, e ama dipingere montagne https://www.abcdolomiti.com/varie/disegni-e-dipinti-di-paesaggi-montani-luca-bridda/

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